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Coronavirus e fake news II

CORONAVIRUS: LOTTA ALLE FAKE NEWS E ALLA DISINFORMAZIONE

 

Coronavirus: lotta alle fake news e alla disinformazione

 

Testo scritto per il numero 5 del maggio 2020 della rivista DIAGNOSI E TERAPIA dal Prof. Massimiliano Noseda, medico chirurgo, specialsita in igiene e medicina preventiva, docente universitario

 

La continua e mancata distinzione tra ipotesi e certezze, la persistente assenza di approfondimento e senso critico, la decontestualizzazione, l’eccessiva semplificazione di concetti tecnici a fini divulgativi, il malcostume dei non addetti ai lavori di diffondere tramite social notizie di cui non si conosce né verifica la fonte, la narcisistica ricerca della popolarità attraverso il sensazionalismo, la noia della domiciliazione forzata, la voglia di comunicare derivante dalla solitudine, l’incertezza del presente, la paura per un virus che ha profondamente cambiato abitudini di vita quotidiana, date per scontate, sono solo alcuni dei molteplici fattori che alimentano la continua proliferazione e diffusione di fake news. Facendo seguito all’articolo pubblicato sul numero di aprile della rivista “Diagnosi e Terapia”, facciamo chiarezza su altre false notizie circolate in questi giorni, fermo restando che quanto segue si basa sulle evidenze scientifiche ad oggi disponibili.

 

 

La misurazione della temperatura tramite termoscan all’ingresso degli esercizi commerciali permette di porre diagnosi di coronavirus se risulta maggiore di 37,5° FALSO

La rilevazione della temperatura, a prescindere dalla metodica utilizzata, non è un test diagnostico ma semplicemente una metodica di screening. Quest’ultimo vocabolo inglese deriva dal verbo “to screen” e significa separare. In altre parole non permette di porre alcuna diagnosi ma consente solo di selezionare in modo rapido e semplice una parte della popolazione che potrebbe avere l’infezione da coronavirus in forma grave e, quindi, da studiare in un secondo momento in maniera più approfondita. Su costoro andrebbe, quindi, eseguito rapidamente il tampone che è l’unico test diagnostico per il coronavirus in quanto rileva la presenza dell’RNA virale a livello nasale o faringeo. Tutti noi, infatti, nella nostra vita abbiamo avuto almeno una volta la febbre, ovvero una temperatura corporea maggiore di 37,5 gradi, ma di certo a causa di patologie diverse rispetto all’infezione da covid19. Il rialzo termico, se considerato isolatamente, è un sintomo comune a moltissimi stati infiammatori, infezioni da microrganismi, neoplasie o farmaci, e non una peculiarità della patologia da coronavirus. Tra l’altro, la stima del grandissimo numero degli asintomatici, che secondo lo studio di Vò Euganeo dell’Università di Padova sarebbe di circa 9-10 volte superiore rispetto al numero degli infetti sintomatici, rende davvero discutibile e poco utile l’adozione di questo test come metodica di screening in quanto rileverebbe una quantità di contagiati davvero minima.

 

Il coronavirus è nell’aria che tutti respiriamo FALSO

Per comprendere realmente il problema dobbiamo ricordare cosa è un agente virale e aver ben chiara la sua particolare modalità di trasmissione. Un virus è un patogeno intracellulare obbligato ovvero un’entità che per sopravvivere necessita di infettare una cellula ospite al fine di utilizzare le strutture di quest’ultima per replicarsi, sopravvivere e diffondersi ulteriormente. Tale intrusione altera l’omeostasi cellulare e attiva una risposta immunitaria nell’uomo finalizzata ad allontanare il virus in modo da evitare o contenere il danno. La sofferenza delle cellule ospitanti può essere di entità molto variabile e quindi non essere associata ad alcun sintomo oppure presentarsi con quadri di gravità crescente culminando, talvolta, nella morte dell’intero organismo. Solitamente i virus necessitano di un contatto stretto tra due individui per passare da un organismo all’altro ma alcuni agenti virali, come il coronavirus, hanno sviluppato una protezione esterna, detta envelope o pericapside, che consente loro di sopravvivere nell’ambiente per un tempo variabile da alcune ore ad alcuni giorni in attesa di trovare una nuova vittima da infettare. Trascorso tale lasso temporale, il virus si disgrega spontaneamente perdendo la sua capacità infettante e, quindi, la sua possibilità di indurre malattia. Poichè il virus si replica nell’uomo a livello faringeo, le particelle virali vengono emesse in minima parte durante la respirazione e l’eloquio ma soprattutto tramite lo starnuto e il colpo di tosse insieme ad alcune goccioline di saliva, dette droplets. Ecco perché tra le raccomandazioni igienico-comportamentali c’è quella di mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro o quella di indossare una mascherina chirurgica che ha come funzione principale non tanto quella di proteggere chi l’indossa ma di limitare la diffusione ambientale. In assenza di tale presidio, il soggetto infetto può infatti contaminare involontariamente l’ambiente circostante favorendo in tal modo la possibilità di contagiare altre persone anche indirettamente. Ciò permette di comprendere l’importanza di una corretta e continua igiene delle mani o in alternativa il ricorso all’uso dei guanti. Infine, tali considerazioni permettono di comprendere facilmente che gli oggetti e le superfici dove è più probabile trovare il virus sono solitamente quelli su cui più persone ci mettono le mani e quindi banconote, chiavi, corrimani, maniglie di porte e finestre, pomelli di armadi e manici di utensili cole le scope, rubinetti e pulsanti del wc, interruttori della luce, carrelli della spesa, touch screen, cornette di citofoni e telefoni pubblici, volanti e cambi di auto in uso a più persone, microfoni personali e professionali, tavoli o sedie, tastieri di citofoni, cellulari, computer condivisi, bancomat, ascensori o distributori automatici.

Fatta questa doverosa premessa, il coronavirus non è quindi nell’aria in generale ma semmai nello spazio aereo circostante ad un soggetto infetto. Quest’ultimo può essere facilmente identificabile se sintomatico per via ad esempio della presenza di febbre, tosse, starnuti ma al contrario difficilmente individuabile se asintomatico in quanto indistinguibile a prima vista dal sano. Quindi, non si corrono rischi significativi uscendo di casa e camminando in un luogo isolato, leggendo il giornale sul balcone o aprendo la finestra. Al contrario, può invece essere decisamente pericoloso entrare o stazionare in luoghi ristretti, chiusi e male areati come automobili, mezzi di trasporto o ascensori soprattutto se sono presenti molte persone, se queste non indossano alcuna mascherina o se la permanenza è protratta nel tempo. Da qui l’importanza di evitare il più possibile queste situazioni e di osservare sempre alcune norme igienico-comportamentali come areare frequentemente i locali e rispettare la distanza di sicurezza. Riguardo a quest’ultima raccomandazione si noti che prevede di stare “almeno a un metro di distanza” e non “a un metro di distanza”. Ciò in quanto più un individuo si allontana dalla fonte del possibile contagio e più la sua probabilità di ammalarsi si riduce progressivamente fino ad azzerarsi. E’ poi vero che alcuni fattori ambientali, come il sole e il vento, possono rispettivamente mitigare o accentuare la diffusione del virus nell’ambiente ma la dispersione al di fuori del corpo umano comporta anche una marcata rarefazione della carica virale, ovvero un notevole distanziamento delle particelle di coronavirus potenzialmente infettanti tra loro, e quindi una riduzione molto significativa della possibilità concreta di contagio e di induzione della malattia.

CORONAVIRUS: LOTTA ALLE FAKE NEWS E ALLA DISINFORMAZIONE - EDUCAZIONE ALLA SALUTE

Nessuno si aspettava una pandemia nel XXI secolo FALSO

Le epidemie sono problematiche sanitarie del passato FALSO

Nel XXI secolo le patologie infettive riguardano ormai solo paesi poveri dell’Africa e dell’America dove mancano cibo, farmaci ed igiene FALSO

A parte una sintetica e veritiera dichiarazione di Bill Gates del 2015, facilmente reperibile in internet, in cui il noto imprenditore informatico americano affermava che le principali minacce future dell’umanità non saranno le guerre ma i virus, i ricercatori di tutto il mondo sanno bene che eventi epidemici e pandemici si sono sempre verificati nella storia dell’uomo e che ancora si ripresenteranno in futuro. Quello che, invece, non sappiamo o che comunque è molto difficile prevedere è quale microrganismo sarà responsabile la prossima volta e soprattutto quando questo avverrà.

I tanto criticati vaccini, che ci hanno regalato lunghi anni di benessere e prosperità, ci hanno anche portato a dimenticare il cataclisma sanitario, economico e sociale che ogni epidemia ha portato con sé nelle civiltà di ogni tempo e che possiamo, però, ritrovare facilmente in un buon libro di storia. Pertanto, una società matura e responsabile deve investire in ricerca e prevenzione negli anni di prosperità per evitare di farsi cogliere totalmente impreparata all’insorgenza di una nuova epidemia, la cui gestione a posteriore è decisamente più costosa in termini sia di vite perse sia di danno economico globale. Catastrofi, come quella indotta da covid19, potranno quindi accadere anche in futuro in quanto le vaccinazioni sono metodiche agente-specifiche ovvero ci proteggono da un particolare microrganismo noto ma non da quelli che mutano spontaneamente in natura e che all’improvviso possono passare dall’animale all’uomo facendo il cosiddetto salto di specie, detto anche spillover.

 

La pandemia da covid19 è come una guerra FALSO

Il potenziale teorico di danno di un’infezione da covid19, in assenza di contenimento, è assai superiore a quello di una qualsiasi guerra. Infatti, se prendiamo per esempio la Seconda Guerra Mondiale è bene notare che l’aggettivo mondiale si riferisce al coinvolgimento anche di paesi esterni al nostro continente ma di fatto il campo di battaglia principale è stato quello europeo. Il termine pandemia indica invece un’estensione dell’epidemia che riguarda ogni continente e quindi implica a priori un coinvolgimento molto più ampio e di dimensioni planetarie. Sempre in linea teorica un evento, invece, di portata superiore all’infezione virale è la glaciazione in quanto mentre l’infezione da covid19 riguarda solo la specie umana, la conseguenze indotte da tale altra catastrofe naturale riguarderebbero tutte o comunque la maggior parte delle specie viventi.

 

Covid19 non può infettare gli animali domestici FALSO

I virus appartenenti alla famiglia coronaviridae sono in grado sia di infettare molti altri animali come uccelli, suini, cani e gatti. Quelli apparenti alle sottofamiglie alfa e beta si diffondono prevalentemente tra i mammiferi mentre quelli classificati come gamma e delta colpiscono soprattutto gli uccelli. Sono, poi, in grado di fare la cosiddetta zoonosi inversa ovvero di passare dall’uomo all’animale. Per quanto riguarda, invece, nello specifico covid19 sono stati descritti ad oggi sporadici casi di contagio di cani, gatti e felini verosimilmente vittime inconsapevoli dei propri proprietari infetti. Tali animali, esattamente come l’uomo, possono manifestare la malattia in modo asintomatico o sintomatico con quadro gastroenterico, consistente in diarrea, o respiratorio caratterizzato da dispnea, tosse e starnuti oltre che da febbre. Il caso sintomatico studiato, ovvero un gatto belga, ha visto regredire la sintomatologia dopo 9 giorni. Per questo motivo gli animali domestici sono attualmente oggetto di continui studi da parte della comunità scientifica che raccomanda di adottare alcune cautele come la riduzione dei contatti e delle effusioni da parte di soggetti probabilmente o sicuramente infetti, il prestare grande cura all’igiene dell’animale e alla sua cuccia o cesta, il lavaggio le mani dopo ogni contatto con l’animale, la sua lettiera o la sua ciotola. Considerato invece il loro stato di cattività, che li differenzia degli animali selvatici, non hanno invece un ruolo attivo nella diffusione dell’attuale pandemia né tra gli essere umani né tra gli animali della stessa specie. Tecnicamente sono infatti detti ospiti non permissivi.

 

Covid19 è stato creato in un laboratorio ed è poi sfuggito al controllo umano NON VI SONO AD OGGI EVIDENZE SCIENTIFICHE O PROVE OGGETTIVE A RIGUARDO

Lo studio della sequenza genica tra i due virus, ovvero quello imputato e quello attualmente circolante, esclude tale ipotesi sia in quanto da una parte non mostra cicatrici di laboratorio sia poiché dall’altra rileva un grado di omologia molto alto e pari all’ 88 % con due coronavirus dei pipistrelli. Tali mammiferi sono, inoltre, un noto serbatoio naturale di tale famiglia virale e quindi anche la più probabile origine.

Facendo invece un discorso più generale, sono un numero stimato tra 630.000 e 830.000 i virus zoonotici che hanno il loro serbatoio negli animali e che potrebbero passare all’uomo. Lo spillover virale vede sicuramente tra i suoi fattori favorenti il comportamento irresponsabile dell’uomo nei confronti del patrimonio naturale comune sia in termini di alterazione degli ecosistemi ed estrazione massiva delle risorse dagli stessi, sia come diretta conseguenza delle abitudini consumistiche alimentari della nostra società. Più precisamente la distruzione degli habitat naturali e altri fenomeni come la deforestazione facilitano il contatto tra l’uomo e animali selvatici che, essendo serbatoio naturale di virus e batteri, può causare il salto di specie verso il genere umano. Solitamente maggiore è la biodiversità, più alto è il rischio che ciò accada. La modalità con cui ciò si verifica può essere sia diretta sia mediata. Lo spillover può avviene, infatti, anche attraverso un ospite intermedio ovvero un altro animale che contrae l’infezione virale dall’animale selvatico e lo trasmette a sua volta all’uomo. Esempi di ospiti intermedi sono non a caso polli e maiali, ovvero animali allevati a scopo alimentare. A particolare rischio sono quindi gli allevamenti industriali con modalità intensiva dove la vicinanza serrata tra i capi di bestiame costituisce una condizione ottimale per la rapida propagazione del virus. A questo problema dobbiamo aggiungere quello dei batteri che in questi contesti diventano sempre più resistenti anche a causa dell’uso eccessivo e sconsiderato di antibiotici e vaccini per difendere gli animali dalla possibile epidemia di altri microrganismi noti.

A queste considerazioni assolutamente generali bisogna aggiungere qualche puntualizzazione specifica relativa ai coronavirus e alla cultura cinese per comprendere meglio l’accaduto. Per quanto riguarda questa particolare famiglia di agenti virali, è opportuno ricordare infatti che in passato era già stata responsabile nel 2002 della SARS ( sindrome respiratori acuta severa ) e nel 2013 della MERS ( sindrome respiratoria medico-orientale ). In entrambi i casi il coronavirus proveniva dai pipistrelli ma mentre nel primo caso è passato all’uomo attraverso lo zibetto, nel secondo l’ospite intermedio sono stati i camelidi, ovvero cammelli e dromedari. Anche per quanto riguarda covid19, si identifica il serbatoio naturale nel pipistrello, per le motivazioni precedentemente esposte, ma non è ancora chiaro quale sia stato l’ospite intermedio. Tra le ipotesi avanzate, attualmente non confermate e anzi messe in dubbio, ci sono un particolare tipo di serpente e il pangolino, ovvero un formichiere. Relativamente, invece, alla cultura e alla medicina cinese è importante ricordare l’abitudine locale di cibarsi di moltissime specie animali a cui si attribuisco proprietà talvolta nutrienti, talvolta magiche o curative. Da qui la consuetudine in alcuni mercati, come quello di Wuhan, di accatastare animali ancora vivi per la macellazione a cui spesso non segue nè la conservazione in frigorifero dei prodotti né l’osservanza di rigorose norme igieniche per gli addetti alla lavorazione e alla commercializzazione. In tale condizione culturale e lavorativa il salto di specie, possibile comunque in qualunque luogo del pianeta, risulta essere di certo facilitato.