Home » speciale coronavirus » Coronavirus e fake news I

Coronavirus e fake news I

COMBATTIAMO IL CORONAVIRUS E LE SUE PRINCIPALI FAKE NEWS

 

 Combattiamo il coronavirus e le sue principali fake news

 

Testo scritto per il numero 4 dell'aprile 2020 della rivista DIAGNOSI E TERAPIA dal Prof. Massimiliano Noseda, medico chirurgo, specialsita in igiene e medicina preventiva, docente universitario

 

Informazioni parziali e romanzate, diffuse da non addetti ai lavori ma soprattutto non supportate dall’evidenza scientifica possono non solo distorcere la percezione del rischio da parte dell’opinione pubblica ma anche indurre taluni a non adottare le cautele necessarie a gestire con scrupolo l’emergenza o a non tutelare al meglio la propria salute. Facciamo pertanto chiarezza commentando insieme le principali fake news, fermo restando che quanto segue si basa sulle evidenze ad oggi disponibili.

 

E’ come l’influenza FALSO

La similitudine non è appropriata in quanto potrebbe indurre il destinatario del messaggio a non percepire la gravità della nuova patologia da coronavirus. Infatti, se da una parte è vero che anche questa patologia si presenta come un’affezione prevalentemente respiratoria a cui si può associare uno stato malessere generale caratterizzato da astenia, cefalea e febbre e che la modalità di trasmissione è anche in questo caso aerea, tra le due patologie sussistono importanti differenze. Per esempio, mentre la comune influenza è promossa da un ortomixovirus, la covid19 è causata da un agente virale diverso ed appartenete alla famiglia coronaviridae a cui afferiscono anche gli agenti eziologici della SARS del 2002 e della MERS nel 2013. Oltre, quindi, a conoscere meno bene il virus, che non incontriamo annualmente come quello influenzale e che ci coglie del tutto impreparati in quanto non presenta un ritorno ciclico prevedibile, non abbiamo neppure un vaccino in grado tutelare l’intera popolazione e in particolare le categorie a maggior rischio come il personale sanitario e gli anziani. Infine, non abbiamo neppure farmaci antivirali specifici per trattare i casi più gravi. Tali fattori, pur non essendo gli unici, rendono ragione almeno in parte sia delle difficoltà legate alla gestione dei pazienti contagiati sia del numero dei decessi osservati che ad oggi risultano pari a circa il 2% degli infetti.

 

L’arrivo della stagione calda porterà ad un miglioramento della situazione IPOTESI

Non confondiamo la speranza con l’evidenza. L’andamento auspicato di regressione col calore riguarda di certo i virus influenzali e i parainfluenzali ma non abbiamo nessun elemento per estendere con sicurezza tale affermazione a covid19 che, come già detto, appartiene ad una famiglia differente. Di certo la stagione calda porta le persone ad aprire le finestre e a trascorrere più tempo all’aria aperta e, quindi, a ridurre le occasioni di sovraffollamento che costituiscono un importante fattore di rischio per tutte le patologie a trasmissione aerea. Inoltre, le mappe planetarie di prevalenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano a metà marzo 2020 che i paesi a oggi non ancora colpiti o poco interessatisono quelli molto caldi e quelli molto freddi suggerendo, quindi, una particolare sensibilità del nuovo coronavirus alle temperature estreme in entrambi i sensi. E’ poi vero che le precedenti epidemie da coronavirus, ovvero la SARS e la MERS, sono diventate meno aggressive col passare del tempo tendendo ad autorisolversi. Tuttavia, il numero di contagiati di covid19 è già ad oggi di gran lunga maggiore rispetto ai casi della comune influenza da ortomixovirus. Si noti, poi, che mentre la stagione calda arriva quando l’epidemia influenzale è già in fase di discesa molto avanzata, quella da covid19 è attualmente in fase violentemente espansiva e presente in ogni continente. Pertanto, se da una parte è vero che tutte le epidemie nel tempo tendono a regredire spontaneamente, dall’altro il fattore temperatura potrebbe essere decisamente poco influente sul naturale decorso della pandemia in atto. Altre sono invece sicuramente le strategie più utili per ridurre il numero dei contagi e rallentare l’epidemia come ad esempio limitare le uscite dal contesto domestico al minimo indispensabile, osservare le comuni norme igieniche e la distanza di sicurezza, individuare e mettere in quarantena tutti i soggetti affetti, utilizzare i dispositivi di protezione individuale quando indicati. Ogni strategia risulta essere, infine, di certo più efficace sia se applicata insieme a tutte le altre sia se osservata da tutti i cittadini.

 

Colpisce e muoiono solo gli anziani con più patologie pregresse FALSO

Se da una parte è vero che i soggetti anziani o con patologie croniche, soprattutto oncologiche, polmonari o del sistema immunitario, sembrano essere un bersaglio più facile per il virus, non è invece corretto affermare che i casi gravi o i decessi si verificano solamente in queste categorie di soggetti. Infatti, evoluzioni clinicamente preoccupanti e ad esito fatale si osservano anche tra soggetti più giovani, sportivi e precedentemente in buona salute. Dati alla mano, da una prima casistica lombarda del 10 marzo 2020 dei ricoverati in terapia intensiva e quindi dei pazienti più compromessi, si evince che l’8% riguarda la popolazione tra i 25 e i 49 anni, il 33% la fascia tra i 50 e i 64 anni, il 37% i malati tra i 65 e i 74 anni e il 22% oltre i 75 anni. Per correttezza è bene sottolineare anche che prima dei 20 anni non solo la frequenza di contagio è molto rara e stimabile intorno al 1% ma anche che i casi osservati sono prevalentemente asintomatici o paucisintomatici. Tuttavia, i più piccoli possono costituire una possibile e concreta fonte di contagio per gli anziani soprattutto nei contesti famigliari e, pertanto, quando possibile sarebbe bene non demandare ai nonni la cura dei nipoti a casa da scuola. Tuttavia, qualora la separazione, non fosse possibile, è opportuno applicare con particolare scrupolo le principali norme per prevenire il contagio anche in ambito domestico.

La distribuzione di gravità in senso crescente secondo l’età, osservata nella casistica proposta, sembrerebbe documentare un ruolo non secondario dell’immunità di base nel modulare sia la possibilità di contagio sia le manifestazioni di gravità della patologia. In altre parole le difese immunologiche aspecifiche del nostro organismo sono più performanti nei primi anni di vita mentre, come ogni altro organo o apparato del nostro organismo, riducono la propria efficienza con il naturale invecchiamento. La deflessione finale, che rende apparentemente più numerosa la fascia tra i 65 e 74 anni rispetto a quella degli ultrasettantacinquenni, è verosimilmente dovuta al fatto che dopo i 75 anni i soggetti sono più sedentari e tendono ad uscire di meno, ad esempio per il sopraggiungere di patologie compromettenti la deambulazione o per la revoca della patente, e quindi sono più protetti dal rischio di contagio a meno che un soggetto infetto non vada a fare loro visita.

 

Ci sono terapie omeopatiche o integratori alimentari specifici ed utili contro il coronavirus FALSO

Non esiste nessun trattamento omeopatico di efficacia ad oggi provata in grado né di evitare il contagio né di curare i soggetti affetti. Allo stesso modo non esistono integratori specifici contro il coronavirus. E’ invece vero in senso generale che un’ alimentazione varia ed equilibrata, ricca di frutta e verdura, fornisce al nostro organismo i presupposti metabolici necessari per ottimizzare il nostro stato di salute e mantenere nel tempo il buon funzionamento di organi ed apparati. Curiamo, quindi, la nostra alimentazione considerando, però, anche gli aspetti quantitativi, ovvero valutando la necessità di ridurre le calorie introdotte, in quanto la maggior sedentarietà e l’abolizione dell’attività sportiva conseguente alla chiusura delle strutture e alla domiciliazione forzata potrebbero tradursi già in pochi giorni in un indesiderato incremento ponderale. Un'integrazione di vitamina D dovrebbe essere, però, considerata in tutti i soggetti sottoposti a domiciliazione forzata per via della minor esposizione ai raggi solari. Una buona abitudine per tutti è, quindi, quella di esporre volto e braccia nelle ore più calde della giornata in primavera e nelle ore più fresche d’estate per almeno 30 minuti ogni giorno per prevenire un’eventuale carenza in aggiunta all’assunzione di qualche alimento ricco in tale micronutriente ( tabella 1 ). Tale ipovitaminosi può essere accertata semplicemente con un esame del sangue e, solo nei casi più gravi o nei soggetti a rischio, compensata con delle gocce di colecalciferolo da assumere giornalmente, settimanalmente o mensilmente in dosaggio consigliato dal proprio medico curante. E’ bene però precisare che la vitamina D non evita l’infezione da coronavirus né può curarla. Serve solo a prevenire la fragilità ossea che potrebbe conseguire ad una protratta mancanza di esposizione solare da domiciliazione forzata.

 

Gli asintomatici non sono contagiosi FALSO

Secondo le evidenze ad oggi disponibili il virus è molto contagioso e anche i soggetti asintomatici possono trasmettere l’infezione. Non sappiamo attualmente se tutti tali soggetti sono contagiosi o solo in parte, e soprattutto per quanti giorni lo sono. Molto probabilmente possono invece trasmettere l’infezione i soggetti paucisintomatici ovvero quelli che manifestano sintomi lievi come tosse, starnuti o febbre. Questa incertezza è dovuta ad oggi alla mancanza di studi mirati su pazienti asintomatici. L’analisi del problema risulta, pertanto, essere ancora oggetto di studio e meritevole di ulteriori approfondimenti. Se l’aver contratto in modo asintomatico l’infezione rappresenta un enorme vantaggio per l’interessato in quanto non necessità di alcun trattamento sanitario e non rischia né esiti invalidanti né la propria vita, tale situazione costituisce un fattore di grandissimo rischio per il propagarsi della patologia nella popolazione sana in quanto proprio l’assenza di sintomi rende tale infetto difficilmente individuabile all’interno della comunità al fine di isolarlo forzatamente.

 

Testo a cura del Prof. Massimiliano Noseda. 

© Riproduzione riservata

 

Tab 1: Contenuto di vitamina D di alcuni alimenti

Alimento Quantità in µg/100 g

Aringa 19,0

Anguilla di fiume 6,6

Tonno 16,3

Caviale 5,9

Aringa affumicata, marinata, salata 16,0

Acciughe o alici sott'olio 5,0

Latterini 11,0

Uovo di gallina, tuorlo 4,9

Cernia di fondo 11,0

Tonno sott'olio sgocciolato 4,9

Pesce spada 11,0

Sarda 4,5

Acciughe od alici 11,0

Funghi porcini 3,1

Carpa 10,6

Sgombro o maccarello 2,9

Luccio 10,6

Uovo intero di gallina 1,8

Tinca 10,6

Suino, fegato 1,7

Trota 10,6

Triglia 1,3

Salmone 8,0

Carne magra di vitello 1,3